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È giusto tassare i prodotti considerati nocivi, che inducono al vizio e che spingono le persone a procurarsi danni fisici o mentali? Secondo la gran parte dei governi mondiali la risposta è positiva. Ma bisogna fare attenzione, se la tassa non è ponderata con l’effetto che si desidera ottenere può causare il doppio del danno: sia ai cittadini che alle casse erariali. Ed è esattamente quello che è accaduto in Italia: l’imposta fiscale sui liquidi di ricarica per sigarette elettroniche non solo ha distrutto un settore economico in piena espansione ma ha causato un aumento di fumatori (e conseguente spesa sanitaria) e agevolato il mercato nero e le vendite illegali.
Una analisi di questo tipo è stata condotta a livello internazionale dell’International Center for Law e Economics (Icle) arrivando alla conclusione che “se una tassa riesce a ridurre i consumi, è probabile che non generi entrate. Allo stesso modo, se una tassa riesce a generare entrate, è probabile non riesca a ridurre o eliminare il consumo“. La difficoltà è stabilire quale sia l’importo preciso che dovrebbe essere applicato per i prodotti del vaping e per i ricaldatori di tabacco, entrambi considerati strumenti di riduzione del danno.
Secondo l’analisi, occorrerebbe che i governi facessero affidamento a studi e ricerche economiche prima di applicare una qualsiasi imposta, non basandosi cioè soltanto sul preventivo di cassa e di bilancio. La difficoltà per un prodotto come la sigaretta elettronica è che, se da un lato genera intrioti erariali, dall’altro favorisce anche risparmio in termini sanitari, raddoppiando quindi l’effetto positivo. Ma sbagliando previsioni, l’effetto sarà immancabilmente opposto, rovesciando i benefici e apportando solo nocumento. Gli analisti di Icle hanno sottolineato che al mondo sono solo ventidue i Paesi che tassano i prodotti del vaping, a cui devono aggiungersi una ventina di Stati federali statunitensi.
L’italia è citata per aver introdotto uno sconto sulla fiscalità delle sigarette elettroniche e dei riscaldatori pari al 50 per cento dell’imposta sul tabacco. Il Regno Unito, ancora una volta, è portato ad esempio come il Paese all’avanguardia in materia di sostegno alle politiche di riduzione del danno. Tutto sta a trovare la giusta via di mezzo per non consentire ai minori di cominciare a fumare e allo stesso tempo spingere i fumatori verso una alternativa meno dannosa e più economica. Solo così le casse dello Stato potranno davvero beneficiarne sia a livello erariale che sanitario.